Cremeno fu capoluogo della Squadra del Consiglio, una delle quattro nelle quali si divideva la Valsassina, che comprendeva i Comuni di Cremeno, Barzio, Cassina, Concenedo e Moggio.
Nella chiesa di Cremeno ebbe sede la principale delle sette cappellanie curate staccatesi verso la fine dell’XI sec. dalla plebana di Primaluna per formare altrettante parrocchie autonome.
La cappellania di Cremeno stendeva la propria giurisdizione su tutto il bacino meridionale della Valle da cui si smembrarono, nei secoli, le parrocchie di Pasturo, Barzio, Moggio, Culmine di S. Pietro e Maggio.
La chiesa è documentata come parrocchiale a partire dal 1342.
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Tra le architetture religiose della Valsassina è questa forse la principale per completezza ed omogeneità, almeno nella strutturazione planivolumetrica, con la vicina canonica e il cimitero recintato al punto da essere espressamente inclusa tra i beni monumentali tutelati dalla legge.
L’elemento più antico è il massiccio campanile, che ebbe funzioni paramilitari prima di essere più volte manomesso.
Fu infatti sopralzato nel 1586, nel 1752 e, su progetto dell’ing. Angelo Manzoni, nel 1858.
In concomitanza con le ristrutturazioni avvennero anche le rifusioni delle campane nel 1586 per opera di Vitale Combi (tre pezzi) e nel 1868 per opera dei Bizzozero di Varese che iscrissero in latino sui cinque bronzi.
Benedette alla posa, solo il 5 giugno 1955 furono consacrate da mons. Giuseppe Maggi vescovo di Hanzhong (Cina) e dedicate ai Ss. Maria Goretti e Domenico Savio; Ss. Rocco e Sebastiano; S. Carlo; S. Giorgio; Ss. Maria e Giovanni.
Nel 1848 l’orologio fu sostituito da Giovanni Novaglia su progetto di Giovanni Battista Rusconi.
La facciata è dominata da un vasto porticato a due ordini di profondità, aperto a tre fornici sul fronte e retto da otto pilastri a lesene esterne composite, secondo un’ariosa interpretazione classica.
Un’ampia scalinata composta da sedici gradini occupa la parte centrale dell’atrio, mentre quelle laterali ospitano, al piano della strada, due ossari e al piano della chiesa balconate chiuse da balaustrate in pietra realizzate entro il 1670 da Giovanni Marcotelli da Canzo.
Ai lati del portale settecentesco in pietra scolpita con frontone centinato spezzato, due nicchie riecheggiano le arcate ed accolgono le statue dei Ss. Pietro e Paolo scolpite in marmo nel 1967 da Luigi Beni.
Quattro lesene proseguono superiormente a inquadrare i finestroni e a reggere il frontone a timpano.
Le facciate e il tetto furono restaurati nel 1990/1991, le parti lapidee nel 1992 e gli interni nel 1993.
Lo sviluppo interno, come la facciata, risale alla lunga ristrutturazione che interessò la chiesa tra il 1657 ed il 1746 che stravolse l’aspetto precedente e si concluse con la consacrazione celebrata dal card. Giuseppe Pozzobonelli il 25 giugno 1746.
Del rito dà testimonianza una lapide murata in fondo alla navata.
Gli altari laterali furono benedetti nel 1727 e si ha notizia dell’acquisto di una balaustrata nel 1723.
L’interno presenta un’unica navata coperta da volta a botte con unghie articolata in quattro campate e con quattro cappelle laterali. Tutti i pavimenti furono sostituiti con piastrelle nel 1898, quindi ancora quello dell’altar maggiore nel 1946 e quello della navata nel 1948.
L’intero impianto decorativo della navata è opera di Luigi Tagliaferri e risale al 1900/1901.
Questi affrescò sulla parete destra la parabola del Padre misericordioso, sulla parete sinistra S. Maria Maddalena che unge i piedi di Gesù, sulla volta la Trasfigurazione influenzata dal modello del Procaccini con le figure di Cristo, Mosè ed Elia ed ai piedi gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, i quattro Evangelisti accompagnati dalle figurazioni apocalittiche e l’Immacolata Concezione con S. Michele. Le stazioni della Via Crucis furono intagliate in legno da Giacomo Vincenzo Mussner nel 1945.
La bussola d’ingresso fu realizzata nel 1911 da Emilio Gottifredi di Bellano.
Il medesimo falegname nel 1899 aveva realizzato la soprastante cantoria e la cassa dell’organo verniciata con dorature e fregi con facciata ad uno scomparto.
Lo strumento con prospetto a cuspide con ali laterali di 31 canne fu terminato nel 1906 da Luigi Bernasconi di Varese.
La decorazione della cantoria e delle prime due cappelle si deve ai fratelli Basilio e Achille Tagliaferri.
Lungo la parete destra della navata spicca il confessionale ligneo barocco intagliato da Federico Andreotti nel 1690 con ricche decorazioni sui lati e alla sommità dove si trovano volute e vasi con fiamme e la raffigurazione di S. Giovanni Nepomuceno.
Fu restaurato da Eugenio Gritti nel 1988 e nel 1989 subì il furto di un angioletto.
Fino al 2011 sulla parete prospiciente era un confessionale ottocentesco che non presentava decorazioni, ora sostituito da uno moderno. Due nicchie contrapposte ospitano le statue di S. Giuseppe (1924) e S. Rocco (1956), quest’ultima viene portata in processione il 16 agosto. Su una mensola è la statua di S. Antonio da Padova (XVII sec.), già nella prima cappella sinistra.
L’opera maggiormente nota custodita nella chiesa è sicuramente il grande polittico cinquecentesco ospitato nella prima cappella destra.
Il primo riferimento bibliografico risale al 1830 quando Stefano Ticozzi lo definì composto da nove riquadri e “nell’atto di osservarlo attentamente col sussidio della scala, vi lessi a chiare note: A. Borgognone F. MDXXXV”.
Da quel momento si impose l’attribuzione ad Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone, condivisa da tutta la letteratura per oltre un secolo con la sola variabilità nella datazione: 1534, 1535 o 1543.
Benché già dagli ultimi anni dell’Ottocento l’attribuzione fosse messa in dubbio, fu solo negli anni Ottanta del Novecento che fu riconosciuta la reale paternità dell’opera.
Dopo il restauro condotto nel 1879 da Antonio Zanchi e la ripulitura del 1938 di Ottemi Della Rotta, nel 1978 Giuseppe Arrigoni intervenne nuovamente sul dipinto sotto la direzione di Maria Teresa Binaghi Olivari che per prima, in base a raffronti col polittico di Gera Lario, vi riconobbe la mano di Sigismondo De Magistris.
Nel 1988 Simonetta Coppa intuì l’intervento anche di un suo seguace “dotato di un linguaggio più maturo e di qualità più alta, che si manifesta in una maggiore sicurezza nella costruzione delle figure e nell’articolazione degli spazi, […] oltre che da una insistita componente di grazia luinesca”, e infine fu documentata la commissione al De Magistris e al suo allievo Ambrogio Arcimboldo nel 1534.
È stato notato un ruolo preponderante del secondo sul maestro dal quale si distingue per una più marcata componente luinesca.
Non è ancora chiaro il contributo portato dai coautori: mentre alcuni assegnano l’ordine superiore all’Arcimboldi, quello inferiore al De Magistris e i riquadri della predella ad un terzo pittore minore, altri attribuiscono al De Magistris la predella e diversi Santi e l’impostazione generale, mentre riconoscono la mano dell’Arcimboldi nella Madonna, in S. Giovanni Battista, in S. Caterina e in S. Giorgio.
Il registro superiore mostra nello scomparto centrale S. Giorgio che uccide il drago, con il Santo patrono della chiesa a cavallo su uno sfondo architettonico e paesaggistico.
Le tavole laterali a fondo oro contengono la raffigurazione di due coppie di Santi, a sinistra S. Francesco da Assisi e S. Ambrogio e, a destra, S. Pietro martire con il falcastro (lo strumento con cui fu ucciso) conficcato nel capo e S. Antonio abate.
Il registro inferiore ospita al centro una Madonna con il Bambino assisa su un sedile dall’alto schienale e posto su una predella a due gradini su cui poggiano due angeli musicanti.
Altre due creature angeliche sostengono i lembi dell’ampio velo ricadente dal padiglione collocato alla sommità.
Sul frontale del gradino inferiore è il cartiglio con la data di esecuzione: “M D XXXIIII”.
Le tavole laterali sono dipinte con altre due coppie di Santi a cielo aperto: a sinistra S. Giovanni Battista e S. Caterina d’Alessandria, con i simboli del suo martirio (la palma, la ruota dentata, la spada); a destra S. Lucia, con in mano la palma e lo strumento acuminato del supplizio sul quale sono infissi i suoi globi oculari, e S. Pietro apostolo, con il libro e le due chiavi simboliche.
Durante il restauro del 1978 queste ultime due figure di impronta luinesca risultarono ridipinte e furono radiografate.
Fu così messa in luce la ridipintura espressamente richiesta al De Magistris nel documento di commissione.
La predella è figurata con i busti di Gesù fra i dodici apostoli in corrispondenza delle tre tavole e, ai piedi delle colonne, con quelli dei quattro grandi Dottori, nell’ordine: S. Gregorio Magno, S. Ambrogio, S. Gerolamo e S. Agostino.
Notevole è anche la carpenteria: i due pannelli centrali sono centinati e di altezza superiore rispetto ai laterali.
Nel registro inferiore compaiono girali attorno alle colonnine con capitelli corinzi e nell’architrave due valve di conchiglie sovrastano gli scomparti laterali.
La cornice è riccamente intagliata con motivi a candelabra sulle colonne dell’ordine inferiore e a scanalature su quelle superiori.
Alla base delle quattro colonne che affiancano la terna di tavole sono dipinti a mezza figura altrettanti Santi: S. Mauro, S. Alessio, S. Biagio e un Santo vescovo.
La concezione dell’opera è stata avvicinata alla bottega di Giovan Angelo Del Maino.
Sulla parete laterale sinistra della cappella si trovano la statua di S. Teresa del Bambino Gesù (1929) ed il ritratto di Papa Giovanni XXIII benedicente, opera firmata e datata dal pittore Franco Re di Somma Lombardo nel 1963.
Il 13 ottobre 1996 si sviluppò un incendio nella cappella, che non compromise il polittico.
La prima cappella a sinistra era in origine dedicata a S. Antonio da Padova e conserva stucchi di Giovanni Battista Aliprandi del 1670.
In luogo della statua originale, la nicchia accoglie tra colonne a torciglione un Gesù risorto in legno di cirmolo di Walter Pancheri di Ortisei del 1995.
Sulle pareti laterali una coppia di medaglioni entro cornici in stucco raffigura a destra una donna con il giogo sulle spalle e il cartiglio “SVAVE”, e a sinistra il ristoro di una donna pellegrina.
Si tratta di illustrazioni delle espressioni utilizzate da Gesù nel suo scambio con il Battista imprigionato.
Nel 1950 furono iniziati i lavori per convertire la cappella in battistero con la posa del pavimento e del fonte (copertura in metalli diversi sbalzati e cesellati), ristrutturazione terminata solo nel 1961 e ripensata nel 1994/1995.
Notevole è la cancellata in ferro ancora in opera.
La successiva cappella della Madonna del Rosario ha il fulcro nell’altare realizzato a cavallo tra Sei e Settecento in marmo dai fratelli Bernardo e Giuseppe Gaggini con stucchi del luganese Giuseppe Neuroni.
L’insieme comprende un’ancona con colonne tortili e frontone spezzato che presenta sulla cimasa angioletti dipinti e che inquadra le formelle lignee dei Misteri del Rosario che a loro volta introducono la nicchia con la statua lignea della Madonna del Rosario (formelle e statua di Giacomo Vincenzo Mussner, 1949). L’altare è dotato di tabernacolo con anta decorata da uccelli che si abbeverano alla fonte.
Il complesso fu risistemato nel 1943 con l’aggiunta sulle pareti laterali dei quadri in pendant di S. Giovanni Bosco e di S. Domenico Savio dipinti da Paolo Giovanni Crida. La volta è decorata con cherubini, monogrammi ed invocazioni mariane. La balaustrata, come quella dell’altare in fronte, è in marmo nero di Varenna e rosso d’Arzo degli inizi del XVIII sec.
Nell’altare dei Ss. Carlo, Caterina e Mauro, il secondo a destra, si conserva una pala ad olio su tela secentesca raffigurante la Madonna del Suffragio con i tre Santi titolari conforme a criteri di assorta religiosità. È racchiusa in un’ancona marmorea mossa da volute e da un’alta cimasa di gusto tipicamente settecentesco.
Come testimonia una lapide in marmo nero, la cappella fu eretta grazie alle offerte dei cremenesi residenti a Roma e nel 1746 risultava da poco consacrata. Sullo sfondo di un cielo stellato si stagliano nella volta i simboli dei tre titolari (stola, pastorale, corona e palma) accompagnati da cartiglio con l’emblema carolino (“HUMILITAS”). Sulla parete destra è una Madonna in trono con Bambino dipinta a olio su tela da Luigi Tagliaferri nel 1900/1901, su quella opposta un quadro raffigurante S. Rita da Cascia davanti al Crocifisso firmato da G. Sacchetti (1961). La cappella fu restaurata nel 1958 dalla ditta Arnoldi di Bergamo.
Il Crocifisso in legno intagliato e policromato che pende dalla volta, presso l’arco trionfale del presbiterio, è opera di gusto settecentesco. Sui montanti sono un Crocifisso ligneo novecentesco (siglato da Giacomo Vincenzo Mussner) a lato del moderno ambone marmoreo, e una mensola con baldacchino ligneo eclettico che accoglie una statua del Sacro Cuore siglata da Giacomo Vincenzo Mussner (1950).
L’abside semicircolare costituisce un ampliamento operato nel 1897 dall’arch. don Enrico Locatelli di quello precedente quadrangolare. Nello stesso anno furono realizzati gli stalli del coro in legno con elementi del preesistente, risalente alla prima metà del Settecento, che si vedono ai lati del presbiterio. Le porzioni superstiti hanno fregi con putti che delimitano gli schienali degli stalli e sono collocate ai lati dell’altare; quella di destra reca braccioli sagomati e cimasa che mancano in quella di sinistra.
Nell’emiciclo si aprono una nicchia con statua di S. Luigi Gonzaga e due finestre dotate di vetrate istoriate con la Crocifissione e la Resurrezione (L. Grassi, 1969). Le pareti furono interamente affrescate da Luigi Tagliaferri nel 1900/1901 con le scene della vita del patrono: ai lati dell’altare realizzò i riquadri con S. Giorgio che uccide il drago a sinistra e il Martirio di S. Giorgio a destra, sulla volta intervenne sulla Gloria di S. Giorgio con la Trinità ragionevolmente attribuita alla famiglia di pittori Pozzi attiva tra Seicento e Settecento.
Sul catino absidale dipinse le allegorie delle virtù teologali: Carità (una madre che allatta un bambino e che regge un cuore fiammeggiante), Fede (il calice con l’ostia, una croce e un libro) e Speranza (l’àncora). Ai due accessi del coro a lato dell’altare maggiore sono due armadietti realizzati con la carpenteria risultante dallo smontaggio del pulpito semiottagonale, del quale si segnalano in particolare le colonnette con i quattro Dottori della chiesa occidentale a forte rilievo.
L’altar maggiore fu realizzato nel 1792/1793 da Giovanni Antonio Albinola di Viggiù su disegno dell’arch. Giuseppe Vanni di Milano per interessamento di Pietro Manzoni del Caleotto di Lecco e fu collaudato il 14 dicembre 1793 dall’ing. Giacomo Venini.
È in vari marmi, pietra e metallo sbalzato e dorato con tabernacolo a tempietto sormontato da un Redentore.
La mensa d’altare e la pavimentazione del presbiterio furono modificate nel 1946 e consacrate il 7 maggio 1946 da mons.
Domenico Bernareggi, vescovo ausiliare di Milano. L’altare fu nuovamente sostituito dopo il Concilio e riconsacrato il 9 luglio 1968 da mons. Luigi Oldani. Davanti alla mensa preconciliare è un paliotto tardottocentesco in metallo sbalzato, argentato e parzialmente dorato che al centro presenta S. Giorgio a cavallo che sconfigge il drago e ai lati, entro nicchie, le immagini di S. Rocco e di S. Luigi. Sull’altare poggia una coppia di Angeli adoranti inginocchiati in pietra scolpita, stuccata e dipinta a tutto tondo degli inizi del XIX sec.
Senza tema di smentita si può affermare che la sacrestia di Cremeno sia la più bella del Decanato, primato che le deriva dalla presenza di un grandioso armadio riccamente ornato di volute, putti, e motivi decorativi in esuberante rilievo realizzati da Federico Andreotti di Galbiate nel 1690. Sulla cimasa è il busto ritratto di S. Carlo realizzato nel 1695 in abiti pontificali con la mitria in capo e lo stemma “Humilitas”. La carpenteria è opera del falegname Giovanni Dell’Acqua con l’assistenza di Giovanni Maria Pigazzi e di Ambrogio Invernizzi di Moggio. Il mobile fu restaurato nel 1890 e nel 1992-1994 da Ernesto e Celso Ticozzi che nel 1993, al termine del rifacimento della pavimentazione, restaurarono anche il bancone seicentesco al centro dell’ambiente. La sacrestia mostra anche una statua lignea della Madonna del Rosario realizzata da Virgilio del Conte a Milano nel 1615 oltre a tele del medesimo secolo.
L’antica canonica sorge in continuità con la chiesa lungo il suo fianco sinistro; ha un bel portale a bugnato e la corte a loggia. Lateralmente al complesso edificato della chiesa e della casa parrocchiale, si trovava il cimitero lungo il cui muro di recinzione nel 1772 furono realizzate le quattordici edicole con dipinta la Via Crucis (benedette nel 1948) e tre portali di ingresso, di cui rimane solo quello verso Cremeno istoriato con S. Giorgio che uccide il drago e la Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina da Siena. All’inizio degli anni Sessanta del Novecento, al posto delle deteriorate pitture settecentesche, furono prima aggiunte crocette benedette dal card. Giovanni Battista Montini nel 1961 e nel 1969 inseriti dei bassorilievi scolpiti da Antonio Mosso in marmo di Carrara. Un recente restauro ha riportato alla luce la parte superstite degli affreschi originari. Al centro dell’area nel 1766 fu posta una colonna in granito sormontata da croce.