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La chiesa di S. Eusebio esisteva già alla fine del Duecento e fu ricostruita nella prima metà del Trecento. La ristrutturazione è legata all’importanza raggiunta in quel periodo dall’edificio che fu scelto come sede della nuova parrocchia di Pasturo e Baiedo, staccatasi dalla matrice di Cremeno nel 1343. Alcuni anni dopo la fine dei lavori, il 18 novembre 1355, l’altare fu consacrato dal frate agostiniano Agostino, vescovo salubrense (ovvero di Salubria, oggi Silivri, diocesi suffraganea di Costantinopoli in Turchia) e vicario generale dell’arcivescovo di Milano Roberto Visconti. Nel 1373 era dotata di un portico sotto cui venivano rogati atti notarili.

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La chiesa fu consacrata dal vescovo frate Guglielmo da Barlassina il 14 marzo 1401, ma pochi anni più tardi fu nuovamente ampliata e i tre altari, il maggiore e i minori dedicati a S. Biagio e a S. Apollinare, furono riconsacrati il 1° luglio 1425 dal frate minore Bartolomeo da Cremona, vescovo di Castoria, diocesi suffraganea di Ohrid in Macedonia. Nel Quattrocento diversi pasturesi contemplarono nel testamento opere a favore della chiesa: una pittura della Madonna con Bambino e S. Antonio disposta da Giacomo della Crotta nel 1429 e migliorie da Giacomina de Prato nel 1445. Fino a questa fase, la chiesa mantenne l’originaria orientazione verso est con l’abside dove oggi è la prima cappella sinistra, a cui fu aggiunta una navata laterale a meridione, con accesso preceduto dalla torre campanaria ancora in uso. L’orientazione fu modificata verso sud con il notevole ampliamento iniziato nel 1596 e terminato nel 1613. Chiesa ed altare maggiore furono consacrati il 5 luglio 1628 da mons. Francesco Maria Abbiati, vescovo di Bobbio. L’architettura della chiesa, al termine dei lavori, assunse un aspetto molto prossimo a quello attuale, ad eccezione del coro realizzato dagli Aliprandi nel 1775. Campagne di restauro furono condotte nel 1845, nel 1929 con il riordino della mensa pericolante all’altare di S. Rocco e la sistemazione dei balaustri e del tetto e nel 1961 per opera di Luigi Garoli; nel 2000 la volta fu ritinteggiata in beige e panna rosati in luogo del verde precedente.

La facciata principale a capanna fu realizzata all’inizio del Seicento, quando fu modificato l’orientamento della navata, con timpano, finestrone a mezzaluna e portale lapideo a timpano spezzato (Domenico Marchioni, 1609) con ante lignee (Bartolomeo Ticozzi, 1810). Il “tabernacolo” ancora esistente fu elaborato da Domenico Pigazzi nel 1609. Le decorazioni a stucco dell’ordine superiore con insegne ecclesiastiche, cherubini, elementi fitomorfi e cornici (ascritte agli stuccatori pasturesi Aliprandi) risalgono al 1675, come indica il millesimo graffito. Le tre specchiature dell’ordine inferiore furono ridipinte nel 1873 da Luigi Tagliaferri: a sinistra due Santi vescovi, ragionevolmente identificabili coi Ss. Eusebio e Calimero, l’Annunciazione al centro e i Ss. Giuseppe e Rocco a destra. La facciata fu restaurata nel 2004; il piccolo sagrato fu sistemato nel 1982.

L’antica facciata principale, a seguito della rotazione secentesca della pianta, è stata inglobata in quella laterale destra, alla quale è addossata una cappella-ossario. Si conservano ancora una parte del portale maggiore, ad arco ogivale, eseguito in conci di pietra ben squadrati e la soprastante finestra ad oculo con la strombatura ancora in parte decorata da un fregio affrescato. Questa parete mostra ancora ampi brani affrescati nel secondo Quattrocento con una figura intera di S. Giorgio ed un viso femminile, probabilmente parte di una Madonna in trono, che attestano l’evoluzione del linguaggio tardogotico in senso quasi umanistico. Quest’ultimo riquadro fu commissionato dalla locale famiglia notabile degli Zucchi che suggellò l’opera con il proprio stemma parlante con tre zucche; in alto corre un’iscrizione quasi illeggibile. A lato sono tre stemmi di fine secolo che aprono interessanti prospettive sull’importanza un tempo assunta da questa chiesa: in alto sulla destra spicca per dimensioni quello degli Sforza, all’epoca signori di Milano, alla cui base è un secondo non chiaramente leggibile che potrebbe rimandare alla medesima famiglia con la rosa dei venti, che rimanda alla fermezza della mente (simbolo utilizzato dai duchi nella decorazione della piazza di Vigevano) e motivi vegetali a girale molto prossimi alla decorazione sul vestito indossato da Luchino Visconti nel ritratto incluso nelle Vite dei dodeci Visconti di Paolo Giovio. Il terzo emblema appartiene ancora al repertorio visconteo-sforzesco: è l’impresa del morso (simbolo di equità, moderazione e giudizio) utilizzata da Gian Galeazzo Visconti nel 1394 e ampiamente ripresa soprattutto da Galeazzo Maria e Francesco Sforza. Altra figura umana è dipinta sul basamento del campanile. A lato si sviluppa il portico con l’ingresso secondario con portale decorato da fregi in arenaria.

Il prospetto orientale ha, sopra la porta laterale, decorazione geometrica a tondi e losanghe del 1511. In quell’epoca veniva formato o riformato il portico d’accesso alla casa del curato, con locali superiori forse ad uso dei cappellani. Qui era anche la sacrestia che conserva tuttora una vasca in pietra a pianta rettangolare, datata 1667, bipartita e dotata di coperchio in legno, e una finestra con inferriata in ferro battuto su cui è stata letta la data 1445. Nel fronte su strada sono murati due frammenti di una lapide già servita come lastra tombale per il sepolcro riservato in chiesa ai confratelli della Scuola di S. Rocco in cui si legge “[SCH]OLA E[…] / S. ROCHI / MDLXX[…]” e databile su base documentaria agli anni Novanta del Cinquecento.

La controfacciata, illuminata da un lunettone, ha bussola in vetro, una coppia di pile per l’acqua santa in marmo nero (1631), e due importanti dipinti ad olio su tela con episodi della vita di S. Eusebio firmati e datati nel 1645 da Aloisio Reali. A sinistra è il Battesimo di S. Eusebio, con l’apparizione dell’angelo nel momento in cui il futuro vescovo di Vercelli venne battezzato da papa Eusebio. Le linee diagonali delle spade dei soldati e della parete scandita dagli archi, che rimandano a Morazzone e Domenico Passignano, amplificano la profondità dello spazio; raffinati sono i contrasti tra le tonalità chiarissime e scure e il rosso del manto papale. Tra i cinque cardinali che attorniano il pontefice si riconoscono i ritratti degli ultimi arcivescovi di Milano: Gaspare Visconti (primo da sinistra), Carlo Borromeo (secondo), Cesare Monti (quarto) e Federico Borromeo (quinto). A destra è invece S. Restituta presenta i figli Eusebia ed Eusebio al papa i cui colori chiari del fondo conferiscono grandiosità ed eleganza; l’armigero in basso a sinistra verrà ripreso da Giuseppe Antonio Petrini nella Caduta di S. Paolo di Altavilla Monferrato (AL). Nel 1987 Luigi Parma e Anna Pirovano restaurarono tutte le sette tele del Reali presenti in questa chiesa e sostituirono i telai.

La struttura interna è mononavica coperta da volta a botte con unghie su quattro campate, alla prima e all’ultima delle quali si affiancano cappelle minori. Nel 1903 fu tolto il pavimento in marmo di Varenna del presbiterio e in cotto della navata e fu rifatto in piastrelle di cemento e sabbia; probabilmente durante questi lavori furono asportate la lapide tombale della confraternita di S. Rocco e le altre due con iscrizioni attualmente nel giardino della casa parrocchiale. La pavimentazione fu nuovamente sostituita nel 1986 da una in botticino classico e rosso magnaboschi e nel 1999. Le volte, i cornicioni e le lesene, pericolanti per il degrado del tetto, furono spogliate degli stucchi e rifatte nel 1808 su progetto del capomastro Giacomo Rossini, che imbiancò tutto l’interno e rifece anche gli scalini del sagrato. Nell’estate del 1885 Antonio Sibella dipinse i quattro medaglioni della volta con le allegorie delle virtù Fede (il calice con l’ostia, una croce e un libro), Speranza (l’àncora), Carità (i bambini) e Giustizia (la spada e la bilancia), il presbiterio con gli Angeli in adorazione del Ss. Sacramento e le velette con i Quattro Dottori (questi ultimi andati distrutti); contemporaneamente il decoratore Luigi Follatelli eseguì gli ornati. Nel 1911 i fratelli Tagliaferri dipinsero le pareti, dal cornicione al suolo e nel 1935 Giovanni Maria Tagliaferri jr restaurò le opere del 1885.

Le unghie della volta furono dipinte nel 1962 da Giancarlo Vitali e Luigi Garoli con figure di Santi a cui corrispondono nelle lunette l’attributo iconografico ed una citazione latina. L’intero ciclo è carico di citazioni erudite frutto della collaborazione tra il pittore e l’allora parroco don Tullio Vitali. Nella prima campata è rappresentata la chiesa apostolica con S. Paolo raffigurato come Apostolo delle genti in cammino tra i nomi in caratteri greci delle città che visitò e S. Pietro come pescatore di anime. Nella seconda è invece rappresentata la chiesa diocesana coi suoi due patroni: S. Ambrogio in abiti vescovili con il bambino che lo acclamò vescovo e le api del miracolo infantile e S. Carlo benedicente in ambiente montano col cavallo a ricordo delle sue visite in Valsassina; nella lunetta è il motto programmatico “Humilitas”. La terza presenta la chiesa pasturese con il patrono S. Eusebio di Vercelli in abiti vescovili con alle spalle le due facciate della chiesa pasturese e a lato una statua della Madonna nera, memoria delle tre che, secondo la tradizione, avrebbe portato in Italia nel 345 di ritorno dall’esilio in Cappadocia e ora custodite nei santuari di Oropa e di Crea e nella cattedrale di Cagliari. La figura è fronteggiata da altra, parzialmente nascosta dell’organo, di S. Calimero effigiato come eremita con sulla destra il fuoco in cima alla montagna, a ricordo della leggenda dei sette fratelli, e a sinistra la chiesa a lui dedicata sui monti sopra il paese (nella conformazione precedente la trasformazione del 1968). Le ultime due unghie raffigurano invece la chiesa attuale, con le figure dell’allora Pontefice e dell’allora arcivescovo. Papa Giovanni XXIII è presentato come l’iniziatore dell’ultimo concilio ecumenico in preghiera davanti alla basilica di S. Pietro; la torre, il triregno e il leone di S. Marco, che sono dipinti nella lunetta, sono gli elementi costitutivi del suo stemma. Di fronte è il card. Giovanni Battista Montini in preghiera davanti al Duomo, anch’egli accompagnato nella lunetta dal proprio emblema araldico. Nel 2014 Giovanni XXIII la chiesa ha proclamato Santo Giovanni XXIII e Beato Giovanni Battista Montini.

Ai lati della prima campata si aprono a destra la grotta della Madonna, ricavata accanto al basamento del campanile con la statua della Madonna di Medjugorje in materiale sintetico, e a sinistra la cappella del Sacro Cuore. Questa era la cappella dell’altare maggiore fino ai rimaneggiamenti primosecenteschi. Le strutture appartengono alla ricostruzione trecentesca pur essendo la pianta semicircolare inconsueta per il mondo gotico. Ai lati si aprono due monofore ad arco ogivale tipicamente gotiche. Quella di sinistra ha strombatura non eccessivamente pronunciata fornita di cornice interna che si conclude superiormente con un elegante fregio floreale e affrescatura a motivi floreali; quella di destra è frutto di restauro. Della decorazione pittorica rimane solo il frammento di una mano. L’ambiente, chiuso da cancellata secentesca, fino al 1970 fu utilizzato come cappella battesimale per il quale Giancarlo Vitali e Luigi Garoli realizzarono gli affreschi che furono coperti in occasione della posa di sei mosaici di Andrea Salvador (2003) raffiguranti la vita di Gesù: al centro è il Sacro Cuore, in alto l’Ultima cena, ai lati la Predicazione, l’Ascensione, il Battesimo e le Nozze di Cana. Al centro dell’ambiente è il grande Crocifisso in legno di sorbo policromato originariamente posto al sommo dell’arcone (Calimero Cimpanelli, 1821).

Quando nel Seicento la chiesa fu ruotata, per evitare di abbattere e ricostruire murature ritenute solide, la parete di testata della vecchia navata destra fu fatta coincidere con quella laterale sinistra della seconda campata della nuova navata. Durante i lavori di decorazione del 1960/1961 furono scrostati gli intonaci e riemerse buona parte dei cicli affrescati tre-cinquecenteschi disposti su tre ordini e attribuiti a tre differenti artefici. L’ordine superiore occupa il lunettone descritto dall’arco della volta ed è interamente occupato da un’unica composizione di metà Quattrocento articolata su due piani. In secondo piano è la Madonna in trono con il Bambino tra Santi che tiene una rosa tra le dita e, accompagnata da S. Caterina d’Alessandria, S. Ambrogio, S. Antonio abate e S. Maria Maddalena, assiste alla scena in primo piano. Qui è rappresentato un episodio della vita di S. Giuliano l’ospitaliere, L’uccisione dei genitori, in cui il Santo, scambiandoli per la moglie con un amante, uccise il padre e la madre che dormivano nel suo letto. Per penitenza fece edificare un ospedale a beneficio dei pellegrini e quindi la sua devozione si diffuse lungo le vie di transito verso i luoghi sacri. La realizzazione del dipinto è stata messa in relazione all’ospizio fondato pochi anni prima al Cantello di Concenedo. Il letto ligneo con alta testata e le fogge dei costumi e delle acconciature sono anche una preziosa testimonianza sull’aristocrazia lombarda quattrocentesca. Sono stati evidenziati legami con la cultura figurativa tardogotica e con il polittico di Giovanni Pietro Brentani di Varenna. Un deteriorato cartiglio in basso a destra fornisce preziose, ancorché incomplete, informazioni storiche sull’affresco, come la commissione da parte della famiglia pasturese dei Della Chiesa. Il registro intermedio è tripartito con ai lati due affreschi unitariamente concepiti nel tardo XIV sec.: una Crocifissione con la Madonna e S. Giovanni evangelista e una Madonna del latte in trono con S. Giacomo. Nella nicchia centrale, ricavata dalla tamponatura di una finestra con strombatura dipinta a girali e frutti, nel Cinquecento fu dipinto un Santo vescovo in trono, identificabile con S. Eusebio. Il registro inferiore è pressoché interamente perduto per la caduta degli intonaci. Sono visibili solo poche tracce dei paramenti di un Santo vescovo nel centro.

Lateralmente si sono conservati anche parte degli affreschi dell’intradosso del montante dell’arco di separazione dall’antica navata principale. Due sono le figurazioni superstiti: un Gesù nell’avello superiormente e un Martirio di S. Stefano con due vecchi lapidatori dai lineamenti viziosi inferiormente. Quest’ultimo appare più antico del primo, in quanto ascritto alla medesima mano della Crocifissione e della Madonna del Latte. Sotto al riquadro sono emerse tracce di un fregio affrescato precedente in bianco e nero. Il Gesù nell’avello, datato ad un momento non avanzato del XV sec., ricorda la prodigiosa apparizione di Gesù coperto di piaghe a S. Gregorio Magno che concesse un’indulgenza a chi, pentito, pregasse davanti a una di queste immagini. A questa concessione pontificia si riferisce la lunga preghiera indulgenziale scritta nel cartiglio.

Lungo le pareti laterali della navata sono esposte le stazioni della Via Crucis dipinte a fresco su tavole in cemento da Giancarlo Vitali (1961) e altre tre tele di Aloisio Reali. Nella prima campata è il Martirio di S. Eusebio, firmato e datato 1658, dove il pittore utilizza lo stesso espediente del paesaggio per compensare la cruenza della scena e i movimenti e le torsioni innaturali dei due lapidatori. Nella campata successiva è una tela in pendant con la precedente: il Martirio di S. Calimero (1658) dove l’apertura del paesaggio con uccellini alla sinistra ha funzione mitigatrice della crudezza dell’unico blocco formato dal carnefice e dal suppliziando; le linee curve, specie nel mantello, hanno la prevalenza su quelle rette. Nella terza campata è invece un piccolo ritratto di S. Eusebio a mezza figura con mano alzata in segno di benedizione. La parete di destra della navata conserva anche preziose opere di carpenteria: il confessionale (Calimero Cimpanelli, 1781), la cantoria e la cassa dell’organo intagliate da Bonaventura Pigazzi nel 1734 quando fu realizzato l’organo Bossi.
Divenuto inutilizzabile lo strumento, nel 1849 la carpenteria fu asservita al nuovo organo realizzato dal monzese Livio Tornaghi con 754 canne e restaurato nel 1938 e 1974/1975. Sotto alla cantoria sono un affresco della Carità di S. Antonio, non firmato, ma opera di Giancarlo Vitali, la porta laterale con antiche serrature e due acquasantiere a conchiglia in marmo nero.

Ai lati della quarta campata si aprono due cappelle realizzate durante la grande trasformazione primosecentesca. Le balaustrate sono state poste nel 1970 reimpiegando i marmi di quella smontata dall’altar maggiore per la quale nel 1741 furono utilizzate pietre della cava introbiese della Spinera. La cappella sinistra è dedicata alla Madonna del Rosario, quella a destra al battistero. Solo nel 1970 quest’ultima ha perso l’originaria dedicazione a S. Rocco ereditata da quella dei Ss. Sebastiano e Rocco, fondata nel 1524. Nel 1604 la popolazione di Pasturo celebrava la festa di S. Vincenzo, nel 1629 quella di S. Sebastiano e nel 1836, durante l’epidemia di colera, quella di S. Rocco. L’altare, ad eccezione del moderno paliotto marmoreo, fu realizzato in stucco dagli Aliprandi intorno al 1670 con angeli musicanti, festoni e ghirlande per ospitare una pala ad olio dipinta in quegli anni e accostata ai modi di Francesco Cairo che fu restaurata nel 1990 da Luigi Parma e Anna Pirovano. Ora, al posto del dipinto, l’ancona incornicia un grande mosaico del Battesimo di Gesù realizzato da Tito Toneguzzo. Nella specchiatura della cimasa è invece, sempre a mosaico, il Sacro Volto. Nell’intradosso dell’arcone sono dipinti a figura intera, da sinistra a destra, un Santo arcivescovo identificabile con S. Carlo, S. Lucia con gli occhi infilzati, S. Agata coi seni recisi e un Santo martire guerriero. Le vele della volta hanno perso le decorazioni pittoriche che riempivano le cornici di stucco, unica traccia rimasta è l’Apparizione dell’angelo a S. Rocco nella lunetta destra. La vasca battesimale ottagonale in marmo nero di Varenna fu realizzata nel 1774.

Prima dell’ampliamento esisteva un altare minore dedicato a S. Biagio, che fu demolito e fu ricostruito nella nuova chiesa con la dedicazione alla Madonna. Nel 2000, durante i restauri, furono scoperti sul fronte dell’arcone lacerti affrescati di Adamo ed Eva con iscrizioni risalenti ai primissimi anni del Seicento. Nell’intradosso sono dipinte a figura intera quattro Sante, da sinistra: S. Maria Maddalena col vasetto, S. Cecilia con l’organo, S. Barbara con la torre e S. Margherita col drago. Sulle pareti laterali, tra cornici di stucco, sono gli affreschi a destra della Natività di Maria, purtroppo privo della porzione superiore, e a sinistra della Presentazione di Maria al tempio (1607). Alla sinistra del lunettone è affrescato in ambiente domestico l’Arcangelo Gabriele a cui doveva essere contrapposta una Madonna annunciata sul lato opposto, dipinto andato distrutto. Tutto l’assetto decorativo, pittorico e plastico, fu completato entro i primi anni Trenta del Seicento grazie a don Pietro Platti che, oltre a promuovere l’ornamentazione, fondò il beneficio del Rosario. Nel 1865, grazie al benefattore Alessandro Tosi, l’altare in legno fu sostituito da uno in marmo dalle linee piuttosto fredde che si presenta sormontato da due statue di Angeli di reimpiego. Al centro della mensa è il tabernacolo chiuso da anta decorata con il Ss. Sacramento e il calice in metallo sbalzato. La nicchia centrale è occupata dalla statua in legno dorato della Madonna del Rosario su una nuvola retta da angeli del 1637, giunta nel 1794 dal monastero del Cantello di Concenedo.

L’arcone del presbiterio si presenta spoglio, privo anche del consueto Crocifisso, traslato nella cappella del Sacro Cuore. Una grande scritta occupa tutta la parte superiore e lateralmente sono state ricollocate due tele di Aloisio Reali provenienti dal trittico che ornava l’altare dall’oratorio di S. Andrea (1643). Si tratta dei due vescovi S. Biagio a sinistra e S. Eusebio a destra, ritratti in finte nicchie con viso allungato e severo che si contrappone alle curve morbide delle preziose stoffe.

Il presbiterio quadrangolare si conclude in un coro semicircolare con stalli collocati nel 1775, le finestre contengono raffigurazioni del Pellicano mistico e dell’Agnus Dei. La copertura è decorata da un medaglione centrale, analogo a quelli della navata, con gli Angeli in adorazione del Ss. Sacramento. Attorno a questo furono posti i simboli degli Evangelisti e le sei lunette laterali furono ornate con piante e uccelli. I quadroni delle pareti laterali furono dipinti a tempera su legno compensato da Aldo Carpi (in collaborazione con Ennio Morlotti) che li firmò e datò nel 1939 e raffigurano I funerali della Vergine a destra e Sinite parvulos venire ad me a sinistra. I due dipinti furono commissionati, all’insaputa del parroco, dai coniugi Roberto e Lina Pozzi in memoria della figlia, la poetessa Antonia. Sulla destra del primo sono ritratti i due genitori, mentre la figlia è effigiata nell’atto di presentare tre bambini nel secondo; il fondale richiama i monti valsassinesi.

L’imponente altare maggiore in marmi rari e preziosi del 1777 è coronato da tre statue in terracotta: il Redentore e due Angeli. Sia l’altare che le sculture furono realizzati da Carlo Maria Giudici. Il tabernacolo (la portina in metallo sbalzato è moderna) è incorniciato da volute in marmo nero e alle sue spalle si alza l’edicola sostenuta da quattro colonne. La nuova mensa rivolta al popolo (ditta Carlo Comana, 1970) fu consacrata il 22 novembre 1972 da mons. Ferdinando Maggioni.
Per aumentare la capienza del tempio, nel 1957 fu aperto un coretto a sinistra dell’altare maggiore che ospitasse la cappella dei bambini. L’intera parete sinistra è occupata da un grandioso encausto dell’Ingresso di Gesù a Gerusalemme dipinto da Giancarlo Vitali nel 1962 con i ritratti dei bambini del paese. Il grande confessionale di noce spartito da colonne tortili (Marco Pigazzi, 1698) è coronato da sculture a tutto tondo di putti e di un Santo vescovo, in parte rifatte. A tergo del seggio di un angelo fu letta l’iscrizione “1698 – Adì 20 Lulio – M.P.E.C.E.”, data che era ripetuta anche sul prospetto, rimossa nel 1936 in occasione del restauro operato da Antonio Monticelli che sostituì la porzione e gli angioletti.

Il campanile, data la sua orientazione incongruente con quella della chiesa, appare di origine precedente agli ampliamenti quattrocenteschi. È in pietra e si articola su tre piani: il primo senza aperture con pietre squadrate agli angoli, il secondo su cui campeggia l’orologio e il terzo con la cella campanaria completamente in pietre battute a vista disegnato da Giovanni Marcotelli da Canzo nel 1674/1675. La copertura e l’accesso furono rifatti nel 1791 in concomitanza con la fusione del concerto di cinque campane avvenuta in una fonderia appositamente realizzata in paese da Natale Mainoni. Il concerto fu inaugurato il giorno di S. Ambrogio lasciando la campanella più vecchia risalente al 1719. Nell’Ottocento la torre fu interessata da diversi lavori, nel 1903 furono sostituite le ruote delle campane e nel 1930 furono restaurati gli intonaci e fu rifatto il castello. L’ultimo intervento di restauro risale al 1995/1996.