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Esistente già nella seconda metà del XIII sec., fu una delle prime cappellanie staccatesi dalla plebana di Primaluna anteriormente al 1368. Fu eretta in parrocchia nel 1406 e riedificata intorno al 1565/1575. L’altare maggiore fu consacrato nel 1582 da S. Carlo come attestano due epigrafi murate in chiesa sulla parete sinistra e in sacrestia sopra il passaggio tra i due ambienti. Nel 1722 la chiesa fu trovata in cattive condizioni dal card. Erba Odescalchi che vi giunse in visita pastorale: erano maturi i tempi per una completa ricostruzione in proporzioni maggiori.

I lavori furono deliberati il 13 luglio 1740 e appaltati l’8 agosto ad Antonio Cometti che si impegnava a condurre il cantiere fino al tetto, esclusa la realizzazione della volta o cupola. Pur essendo compresi i cornicioni interni, era esclusa la finitura delle pareti le cui pietre interne ed esterne erano solo da sigillare, ma non da intonacare. L’intera navata fu costruita ex-novo, la vecchia fu inglobata nel nuovo coro ed il vecchio coro divenne sacrestia. La spesa fu fissata in £ 7.200 oltre a tutto il materiale necessario al cantiere. Il Cometti morì nel marzo 1742 prima di vedere completata l’opera e il 23 aprile 1742 fu stilato un nuovo contratto con suo genero Giovanni Battista Pedrazzi e suo fratello Pietro che si impegnarono a fare, per la medesima cifra, oltre a quanto previsto negli accordi del 1740, anche la volta a rustico. La grandiosa realizzazione costituì forse il maggiore cantiere valsassinese di tutti i tempi, perfettamente documentato dalle carte dell’archivio parrocchiale. I lavori, ricordati da una lapide nera (Daniele Santino, 1743) posta sopra al portale maggiore, proseguirono fino al 1747 quando Pietro, Carlo e Tommaso Fontana posarono il pavimento in pietra grezza “rigata a scanapesce”.
Il nuovo tempio fu consacrato il 6 luglio 1746 dal card. Giuseppe Pozzobonelli, come ricorda una lapide a lato del pulpito. Gli interventi successivi si limitarono al rifacimento degli altari laterali nel 1834, alla decorazione di volte e cupole nel 1866, al rifacimento del tetto nel 1960 e a restauri interni nel 2009/2011 ricordati in una lapide in controfacciata.

La facciata è caratterizzata dall’ampio portico su pilastri in cemento progettato nel 1980 dall’arch. Lorenzo Salvatoni. L’accesso alla navata avviene per mezzo di un portale in serizzo del 1742 di Carlo Andrea Parolino, autore anche delle porte ai lati dell’aula, chiusa da battenti settecenteschi. Nel 1859 furono condotti lavori di ristrutturazione e fu incisa la data sulla trabeazione. La bianca facciata si conclude, sopra a due finestre curvilinee tra due lesene, con una croce sommitale in ferro (Paolo Galperti, 1742). Mentre il prospetto sinistro, verso monte, è a rustico, quello destro è intonacato e ospita una meridiana solare affrescata nel 1866, attribuita a Giovanni Maria Tagliaferri che in quell’anno decorò le volte e le cupole.

L’interno ha mantenuto la simmetrica pianta a croce settecentesca, con i bracci poco sviluppati che contribuiscono a conferire monumentalità alla cupola centrale che copre il loro incrocio. La controfacciata ospita la cantoria ottocentesca in legno intagliato e dorato con sobria decorazione a colonne con capitelli dorati. L’organo con tamburo fu costruito nel 1824 da Eugenio Biroldi grazie a un lascito disposto nel 1823 da Giovanni Maria Petralli di Piano. Nell’assemblaggio delle 619 canne furono riutilizzate parti del preesistente strumento settecentesco. Il prospetto di facciata è in un solo campo di 25 canne con bocche allineate; l’intervento di restauro più significativo è stato condotto da Emilio Piccinelli nel 1987. La vetrata soprastante contiene il medaglione dipinto di un Santo re ed è frutto della medesima concezione di quelle del transetto (S. Giuseppe con il Bambino a sinistra e S. Carlo a destra) e del presbiterio (Buon Pastore), tutte realizzazioni del primo quarto del Novecento.

Ai due lati dell’ingresso si aprono nicchie: in quella a destra è un affresco della Pietà con la Madonna dei Sette Dolori che regge Gesù ai cui piedi sono i simboli della Passione. L’opera è stata datata alla prima metà del Settecento, ovvero all’epoca della realizzazione di questa porzione di edificio. La nicchia a sinistra, prolungata in epoca recente, ospita il battistero chiuso da cancello in ferro battuto e dotato di vasca cinquecentesca con colonna in pietra. L’ambiente fu sistemato nel 1952: le pareti furono rivestite con piastrelline di mosaico bianche e la monofora, ora murata, fu chiusa da vetrata policroma con figure simboliche.

La grande simmetria dell’icnografia dell’edificio si rispecchia anche nelle decorazioni mobili: le stazioni tardosettecentesche della Via Crucis dipinte ad olio su tela e dubitativamente attribuite a Giovanni Bellati e la coppia di confessionali in legno di noce riccamente intagliati con cariatidi e festoni floreali, ornati sulla cimasa dalle statue di S. Ambrogio e della Madonna Assunta tra putti. I quattro angeli originali furono trafugati e sostituiti da copie. Rubate pure le copie, furono sostituiti da angioletti moderni che non rispettano le proporzioni del manufatto. Sul fronte di entrambi è inciso il millesimo “1725”, relativo alla realizzazione dell’esemplare di destra e all’ammodernamento di quello di sinistra, che fu realizzato tra i 1639 ed il 1640 come testimoniano le iscrizioni laterali.

Notevole è il ciclo affrescato sulle coperture da Giovanni Maria e Luigi Tagliaferri nel 1866: la cupola centrale è interamente occupata dall’Assunzione tra angeli musicanti, nei quattro medaglioni ovali dei pennacchi che la reggono sono dipinti S. Antonio abate, patrono di Parlasco, S. Biagio, patrono di Bindo (all’epoca entrambi inclusi nella parrocchia di Taceno), Abramo e Mosè, nelle cui tavole il pittore il 27 giugno 1866 inserì notizie di cronaca relative alla Terza Guerra di Indipendenza. I due archi laterali accolgono in dieci medaglioni le figure degli Apostoli. A sinistra si vedono, nell’ordine, Giuda Taddeo con la lancia, Tommaso con la squadra, Pietro e Paolo con chiavi e spada, Andrea con la croce inclinata e Giacomo maggiore in veste da pellegrino. Sull’arco destro si riconoscono invece Mattia che sostituì Giuda iscariota e Simone cananeo con la sega, Matteo con l’angelo, Giovanni evangelista con l’aquila, Bartolomeo col coltello, Giacomo minore con il bastone e Filippo con la croce. Gli affreschi furono restaurati nel 1938 e nel 2009/2011.

Sotto ai due archi, si aprono i bracci poco profondi che ospitano gli altari di S. Gioacchino, a sinistra, e di S. Anna, a destra. La dedicazione ai genitori di Maria è coeva alla costruzione della chiesa: nel 1745 il sacerdote Giovanni Girolamo Buzzoni acquistò due quadri raffiguranti tali Santi e l’anno successivo gli altari sono ricordati negli atti della visita pastorale del card. Giuseppe Pozzobonelli. Pochi anni più tardi furono realizzati due affreschi che fungono da pale: Annuncio a S. Gioacchino ed Educazione della Madonna. Nel 1835 furono terminati i due altari marmorei in pendant con tabernacoli e con imponenti colonne sormontate da frontone a timpano e fu chiesto il permesso di benedirli. Contestualmente agli altari, nel 1834, furono dipinte ad olio le grandi tele che coprirono gli affreschi settecenteschi replicandone il soggetto. Al termine della campagna di restauro recentemente conclusa, si è deciso di appendere i quadri, qualitativamente inferiori agli affreschi, sopra alle porte laterali e di lasciare visibili nell’ancona gli affreschi.
Ad interrompere la perfetta simmetria dei due altari sono i paliotti: mentre quello di S. Anna fu realizzato nel secondo Ottocento, quello secentesco di S. Gioacchino ha una storia curiosa. Il governo di Giuseppe II (1780-1790) si caratterizzò per la soppressione degli enti religiosi “inutili”, come numerosi monasteri e confraternite, i cui beni furono devoluti ad un’amministrazione che li riallocò agli enti che erano reputati “utili”, come le parrocchie. Nel 1786 anche la parrocchia di Taceno inviò una domanda per poter ricevere alcuni di questi arredi sacri, senza dettagliare richieste specifiche. Il 21 agosto ottenne diversi arredi da confraternite soppresse a Milano ed il 10 maggio 1788 formulò la richiesta di un altare, proponendo quello della chiesa della Ss. Trinità in Porta Romana a Milano, che le fu accordato. L’iscrizione sull’elemento centrale del paliotto “1686 / DI 8 GIVGNO / DOMENICO / PESSINA / SCOLARE & / BENEFATTORE / DELLA SSMA / TRINITA / DI D.(ET)TA SCOLA” conferma come l’elaborato fu originariamente concepito per la confraternita milanese.

Ai lati degli altari sono due coppie di nicchie, due aperte nel 1947, che ospitano statue novecentesche di S. Luigi Gonzaga e S. Rita da Cascia a sinistra e S. Giovanni Bosco e S. Antonio da Padova a destra.

Procedendo verso il presbiterio, si incontra sul lato sinistro l’ottocentesco pulpito a pianta circolare con capocielo, formella raffigurante la Samaritana al pozzo a rilievo e Crocifisso policromo. L’accesso avveniva dalla sacrestia per mezzo di un corridoio in quota che passa sopra la porta laterale e che si affaccia con una gelosia lignea sull’aula. Analoga struttura si ritrova per simmetria sulla parete opposta. Ai lati della navata si aprono due porte secondarie settecentesche in legno, affiancate da una coppia di acquasantiere a conchiglia in marmo nero di Varenna (Daniele Santino, 1743); al centro in terra è la lapide tombale in marmo nero (Andrea Alio, 1747). Dall’arco trionfale pende un Crocifisso in legno dipinto del XIX sec.; in corrispondenza si trova la balaustrata barocca in marmo nero di Varenna e rosso di Arzo (Carlo Francesco Conca, 1746). I capitelli furono realizzati da Carlo e Giovanni Battista Comparetti nel 1742.

Contemporaneamente all’aula, i Tagliaferri affrescarono anche il presbiterio con la Trinità nel clipeo sulla cupola e i quattro Evangelisti sui pennacchi. La parete di fondo fu affrescata nel 1964 da Pierino Motta con una veduta di Gerusalemme, opera coperta durante il restauro del 2011 da un fondo uniforme che ha inteso riportare la chiesa all’aspetto originario. Nel 1946 il pavimento in marmo bianco e nero fu sostituito da uno in travertino, come ricorda la lapide sulla controfacciata. Sulle pareti laterali sono una coppia di teleri ottocenteschi ad olio di soggetto mariano, gli Apostoli presso il sepolcro vuoto dell’Assunta e l’Incoronazione della Madonna Assunta, e il coro in noce della fine del XVIII sec..

Nel 1745 furono gettate le fondamenta degli scalini e delle balaustrate e fu posto l’altare maggiore. Si tratta di un’opera in stile barocco in marmi nero e rosso con due gradini sormontato da un piccolo tempietto a sei colonnine con angioletti. Il tabernacolo è impreziosito da fregi metallici dorati, la porticina settecentesca in metallo sbalzato e dorato raffigura l’Agnus Dei. L’imponente elaborato marmoreo è sormontato da un’altrettanto imponente statua lignea dipinta della Madonna Assunta, già esistente nel 1630 e incoronata nel 1962 il cui basamento, separato, ma coevo, è decorato con teste di angeli e nuvole. La mensa postconciliare in marmo è stata realizzata nel 1995 dalla ditta Comana di Seriate (BG) su progetto dell’arch. Alberto Nogara.

Alle spalle dell’altare si aprono la teca delle reliquie e quella in marmo nero di Varenna per l’olio degli infermi con l’iscrizione incisa “OLEVM SAN(CTUM)” (Daniele Santino, 1743) e le due porte con cornice settecentesca che conducono alla retrostante sacrestia che si articola in due ambienti: il primo con armadio in noce settecentesco e la lapide in marmo nero in memoria della consacrazione cinquecentesca, il secondo con le statue novecentesche di S. Francesco e S. Agnese. Il Crocifisso dipinto ai primi dell’Ottocento da Giovanni Bellati che un tempo era qui esposto non è al momento reperibile.

In un locale al piano terreno della casa parrocchiale è stata ricavata la cappella invernale, la cui decorazione è limitata ad un quadro comprendente le stazioni della Via Crucis, ad un sedile-cassapanca in legno, dubitativamente ascritto all’Ottocento, ed alla colomba dipinta al centro della volta. L’altare è sormontato dalla statua della Madonna Assunta realizzata dal laboratorio Vayreda, Bassols, Casabò di Girona in Spagna e donata alla parrocchia nel 2003.

Il campanile fu ricostruito tra il 1631 e 1634 da Lucio Maglia di Gittana con i fondi derivanti dai lasciti devoluti alla parrocchia durante l’epidemia di peste “manzoniana”. Fu rialzato nel 1703 formando sia la cella con bifora arcaica, sia la caratteristica cuspide coperta da beole; nello stesso anno furono fuse le due campane siglate “N(ICOLA).C(OMOLLI).F(USE).”. Si ha notizia di interventi minori al campanile e al castello attuati nella prima metà dell’Ottocento.

Il sagrato è delimitato dalle cappelle della Via Crucis con struttura in pietra e malta e copertura in lastre di pietra (1757). Il corpus è introdotto da un’edicola dedicata all’Adorazione dei Magi il cui dipinto di fine Ottocento fu rifatto da Pierino Motta nel 1964. Non si hanno notizie sui dipinti originari delle santelle che furono rifatti a fresco a inizio Novecento da Arturo Ferrari. Andati distrutti anche questi, furono sostituiti negli anni Sessanta da rilievi in gesso con scene della Passione. La sostituzione può essere messa in relazione con il rifacimento dei tetti operato nel 1960. Con gli ultimi restauri del 1999, diretti dall’arch. Massimo Brambilla, i gessi sono stati staccati ed accatastati nella chiesa di S. Giuseppe e recentemente sostituiti da piccoli dipinti su tela che richiamano lo stile di affreschi trecenteschi.