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Situata su un poggio a levante del paese, oltre il torrente Acquaduro e per questo detta in antico anche trans torrentem, la chiesa di S. Michele arcangelo, già esistente nel XIII sec., fu la primitiva parrocchiale di Introbio, staccatasi da Primaluna nel 1406.

La dedicazione a un Santo “guerriero” come S. Michele, caro ai Longobardi, induce a ipotizzare per questa chiesa una fondazione risalente circa all’VIII sec., anche se dell’oratorio originario non restano tracce, considerati i rifacimenti attuati a più riprese nel passato. Nel corso dei secoli, infatti, l’edificio sacro subì numerose ristrutturazioni: nel 1523 la chiesa venne totalmente restaurata e benedetta dal vescovo di Lodi, Gerolamo I Sansone (1519-1527); alla fine del Cinquecento risale la decorazione pittorica del presbiterio; nel 1619/1621 la cappella maggiore fu restaurata secondo le prescrizioni emanate dal card. Federico Borromeo dopo la sua visita personale; nel 1631, come risulta dalla data incisa sullo stipite destro del portale in pietra d’ingresso, furono incorporati all’interno del sacro edificio il portico cinquecentesco e la torre campanaria precedentemente affiancata alla facciata.

Alla fine del Seicento (1680) si realizzarono le due cappelle laterali e la volta a botte con unghie sull’aula. Nel 1836 e ancora negli anni 1861/1862 l’arch. Giuseppe Bovara stilò dei progetti per ridonare a S. Michele l’antico privilegio di chiesa parrocchiale, che era stato trasferito alla chiesa di S. Antonio abate dal 1553. Dopo essere stata trascurata per secoli, nel Novecento iniziarono diverse campagne di restauro che riportarono al suo antico splendore la primitiva parrocchiale e consentirono di riscoprire lungo tutta la navata autentici tesori pittorici celati da strati di calce (1982; 1988). Contestualmente furono rifatti il tetto e la tinteggiatura interna, nonché restaurati gli affreschi ottocenteschi (Colombo, 1989). I lavori giovarono sia di contributi provinciali che privati.

Il campanile di aspetto romanico è in gran parte originale, ancorché sopralzato, e dotato di quattro eleganti bifore nella parte terminale nonché di un uscio che si apre al primo piano sul lato nord. Venne eretto secondo caratteri architettonici paramilitari assolvendo così la funzione di una vera e propria torre di osservazione e segnalazione, di origine forse romana. Nella cella si trovano due campane (Fratelli Ottolina, Seregno, 1914). Il sagrato raggiunse la situazione attuale nel 1995 su progetto degli arch. Vittorio Artusi e Luca Scacchetti.

La facciata a capanna è caratterizzata da un portale in pietra datato 1631 nell’ordine inferiore e in quello superiore da una serliana di probabile origine ottocentesca.

La porta d’ingresso è in legno (XVIII sec.) e presenta quattro formelle scolpite: in alto a sinistra Dio Padre (occhio e triangolo, simbolo della perfezione trinitaria), in basso a sinistra la bilancia, attributo iconografico di S. Michele, in alto a destra il calice e l’Eucarestia e in basso a destra un cappello cardinalizio (?).

La chiesa presenta una sola navata coperta da volta a botte con unghie, abside rettangolare, due cappelle laterali e un atrio posticcio aggiunto nel 1935 che altera la percezione unitaria dello spazio interno. Alla pavimentazione in marmo, nel 1960 fu sostituita la corsia centrale in serpentino.

Entrando sulla destra della navata è stata ripristinata la vetusta acquasantiera in granito su pila, il cui catino mostra frontalmente uno stemma martellinato purtroppo illeggibile (XVI sec.) e alla parete è addossato un lineare confessionale in noce (XVIII sec.). A sinistra invece svetta la torre campanaria ove è visibile l’antico vano d’ingresso alla canna, un portale a tutto sesto tamponato in anni recenti e rimesso in luce nel 1987. Sopra l’apertura è affrescata una rozza Crocifissione (metà XV sec.), con la figura di S. Giovanni evangelista e la mano sinistra di Cristo trafitta da un chiodo a forma di freccia.

Lungo la navata, a sinistra si incontra il grande riquadro della Madonna in trono col Bambino che si ripete in altri tre riquadri, come se le facoltose famiglie locali avessero voluto in questo modo riservarsi all’interno del tempio comune un angolo di privata devozione. La Vergine, avvolta da un sontuoso mantello che le copre il capo, volge la mano destra verso il devoto orante inginocchiato ai suoi piedi e siede su un elaborato trono, il cui schienale, elegantemente traforato, diviene un articolato fondale architettonico secondo i canoni del gotico fiorito con torri e pinnacoli che si profilano sul blu intenso del cielo; sulle sue ginocchia è in piedi il Bambino Gesù con una lunga, elegante vestina in atto di benedire con due dita. L’affresco, eseguito nel XV sec. e localmente noto come Madonna delle Grazie o Madonna dei partenti, fu in passato oggetto di una forte devozione popolare, come si rileva dalla relazione della visita pastorale di mons. Antonio Corneliano (1715) che lamenta l’eccessiva ornamentazione del simulacro, nonché dalla presenza sulla parete sinistra di sedici ex voto (alcuni dipinti), il più antico dei quali risale al 1762. La cornice in stucco che inquadrava il miracoloso affresco fu eliminata nel 1963, in occasione dei restauri del dipinto murale, e nel 1965 fu levato l’altare e rifatto il pavimento. A sinistra dell’affresco è posta una bella tela raffigurante Giobbe consolato dalla moglie (olio su tela, XVII sec.).

Lungo la parete destra si possono ammirare altri affreschi quattrocenteschi, in particolare una Trinità neotestamentaria (primi decenni XV sec.), realizzata all’interno di una mandorla luminosa (che rappresenta la gloria di Dio dell’Antico Testamento), di cui viene sottolineata la concavità mediante un raggio che passa dietro le figure e una quadrettatura curvilinea sullo sfondo; alla sommità sono un avanzo di iscrizione e il doppio stemma parlante della locale famiglia dei Rognoni che commissionò l’opera. Ai lati si trovano due distinte raffigurazioni della Madonna in trono con il Bambino, opere dello stesso artefice che fu autore nella metà del Quattrocento anche di quelle di Ballabio e di Galbiate. La prima, a sinistra della porta laterale della chiesa, è raffigurata con offerente inginocchiato, membro della famiglia Arrigoni (identificabile da un frammento dell’epigrafe dedicatoria posta superiormente e dallo stemma posto di lato); la seconda, dal viso estremamente raffinato, i tratti delicati e per nulla scontati, l’espressione di una dolcezza materna e regale al contempo, è seduta su un trono tra i Ss. Antonio abate e Gottardo. Tra la Trinità e la Madonna in trono tra i Ss. Antonio abate e Gottardo è collocato un affresco di Antonio Sibella (1884) raffigurante la Madonna del Rosario col Bambino e S. Domenico strappato e restaurato da Francesco Belotti nel 2012. Sopra la porta laterale destra è posta una lapide marmorea commemorativa del parroco don Abramo Valsecchi.

In prossimità dell’area presbiteriale si aprono le due cappelle laterali tardoseicentesche delimitate da una balaustrata in marmi policromi scolpiti e intarsiati realizzata tra il 1752 e il 1765, assieme ai pavimenti delle tre cappelle, dallo scalpellino Andrea Alio. Il tutto crea un particolare effetto scenografico. Da segnalare i paliotti in cuoio dipinto dei due altari laterali (ambito veneziano, 1753): quello della cappella sinistra raffigura l’Assunta tra i Ss. Rocco e Sebastiano, quello di destra il Crocifisso tra i Ss. Francesco e Carlo. I due altari laterali sono altresì corredati da due lampade pensili della prima metà del Settecento.

La cappella laterale di sinistra, dedicata ai Ss. Rocco e Sebastiano, ospita parte dell’antico altare maggiore settecentesco in legno intagliato con fregio a girali vegetali (proveniente dal santuario della Madonna di Lezzeno e acquistato nel 1750). Sulla parete di fondo, entro stucchi degli Aliprandi, è appesa una pregevole tela seicentesca raffigurante una Madonna col Bambino tra i Ss. Sebastiano e Rocco, esempio di barocchetto sobrio ed equilibrato la cui compostezza formale ricorda i modi del milanese Giovan Battista Sassi; sulla parete destra della cappella è posta una tela settecentesca con relativa cornice in legno intagliato, dipinto e dorato (prima metà XVIII sec.) raffigurante S. Michele Arcangelo (proveniente dall’altar maggiore), caratterizzata da forte tornitura plastica e colori brillanti.

La cappella di destra è, invece, dedicata a S. Carlo: sulla parete di fondo è appesa una bella pala settecentesca di Giovanni Battista Lazzarini raffigurante il Crocifisso tra i Ss. Carlo Borromeo, Maria Maddalena e Francesco d’Assisi (1761). Sulla parete sinistra è un affresco con S. Giuseppe con Gesù Bambino datato e firmato da Antonio Sibella (1876), mentre alla parete destra sono addossati stalli corali in noce del XIX sec..

Sull’arco trionfale si possono ammirare altri affreschi del XV sec., di più accurata esecuzione. Sul montante di destra è visibile una scena di Crocifissione mutila con S. Bartolomeo (titolare di uno dei due altari laterali documentati almeno dal 1566): il busto di Gesù, tagliato diagonalmente da una profonda fenditura, appare eseguito magistralmente con poche tonalità giallo-verdastre, che alludono veristicamente alla morte ormai sopraggiunta. Della Madonna e di S. Giovanni dolenti, che affiancano il suppliziato, sono rimaste poche tracce; in migliore stato è la figura di S. Bartolomeo, a sinistra, riconoscibile dal suo attributo, il coltello, con il quale fu scorticato vivo; alla sommità correva un’iscrizione oggi illeggibile preceduta da uno stemma perduto. L’opera è stata accostata ai Da Seregno. Sul montante di sinistra è un altro polittico incorniciato dallo stesso fregio ad archetti con la Madonna in trono affiancata da un vescovo e da S. Giovanni Battista: il dipinto, restaurato nel 1988, è completamente scomparso, salvo il volto del Precursore con parte del suo cartiglio (“AGNVS DEI QUI TO…”), nell’angolo destro si notano tracce dello stemma della committenza con il simbolo del tau. È stata riscontrata la perfetta specularità tra le figure dei Ss. Bartolomeo e Giovanni Battista, segno che furono dipinti avvalendosi di un medesimo cartone.

Alla sommità dell’arco trionfale c’è un medaglione con S. Barbara, patrona dei minatori, dipinto da Luigi Tagliaferri nel 1875, che affrescò pure i due tondi sulla volta della navata raffiguranti due angioletti, uno con bilancia e spada (attributi di S. Michele), l’altro con un serto di rose.

Di grande interesse iconografico risulta la decorazione pittorica del presbiterio, realizzata nel 1577 a spese degli abitanti di Introbio e restaurata da Luigi Garoli nel 1982.

Sull’intradosso dell’arco trionfale sono raffigurati, entro finte aperture centinate, otto personaggi profetici e biblici con al piede di ogni riquadro un cartiglio con il nome e un’iscrizione: partendo dal montante di sinistra e salendo si vedono: Salomone (?) e Isaia (?), Daniele, ultimo dei profeti maggiori, Mosè con le due corna sul capo; a destra, sempre iniziando dal basso: Geremia, Saul con lo sguardo malinconico, Davide con la corona e la cetra e un altro Profeta non identificato. Al centro è la Colomba che rappresenta l’ispirazione dello Spirito Santo. Sull’architrave in legno intagliato e dipinto a motivi floreali (XVI sec.) spicca un Crocifisso ligneo dipinto (XVII sec.). Sul piedritto sinistro è raffigurato Giobbe, rappresentato come un vecchio dalla barba bianca e il corpo coperto di piaghe, mentre su quello destro troviamo S. Giovanni Battista, rappresentato come eremita, vestito di pelli.

Nelle lunette della volta a ombrello sono rappresentati gli Evangelisti con i loro simboli, Angeli musicanti (con viola da gamba, liuto rinascimentale, lira, tromba, organo positivo ad ala) e al centro Dio Padre circondato da putti, forse opera di Aurelio Luini, accompagnati da numerose iscrizioni tratte da diversi salmi, in conformità alle esigenze didascaliche della Controriforma.

Sulla parete di destra è raffigurata ad affresco (la parte inferiore è stata rifatta nel Settecento) una processione solenne che, secondo la tradizione, si dirige verso una belva feroce, domata da S. Michele, che minacciava il paese aggirandosi nelle vicinanze della chiesa in una località che ancora oggi si chiama “Vedudòla”, cioè “dove lo si vedeva”. In realtà si tratta della processione penitenziale organizzata a Roma da papa Gregorio Magno per far cessare l’epidemia di peste del 590: durante la devota pratica apparve sulla sommità del mausoleo di Adriano (che a seguito di questa apparizione miracolosa prenderà l’attuale nome di Castel S. Angelo) l’arcangelo Michele che, rinfoderando la spada, annunciava al papa la fine dell’epidemia.

Sul fondo del presbiterio campeggiano al centro una Crocifissione tra la Madonna Addolorata e S. Michele arcangelo, ridipinta nel Settecento, e ai lati due scene agiografiche di migliore qualità pittorica relative agli Arcangeli Gabriele (a sinistra) e Raffaele (a destra). In quest’ultima Raffaele, rappresentato come angelo con grandi ali e con un bastone nella mano destra, accompagna il giovane Tobia nel suo viaggio verso la Media e lo invita a catturare il grosso pesce che ha tentato di mangiargli il piede mentre sta facendo il bagno nel Tigri. Tobia, sulla sponda del fiume, è raffigurato giovane, poco più che un ragazzo, in ginocchio vicino al pesce. Nel riquadro di sinistra, Gabriele è mandato al profeta Daniele per aiutarlo a interpretare il significato di una visione. Sulla parete di sinistra c’è una Natività molto rovinata, di cui si sono conservati i volti della Madonna e di un pastore o di S. Giuseppe, sia pure deteriorati da macchie di fuliggine. Sotto l’affresco si apre una porta (XVIII sec.?) che conduce alla sacrestia dove è posto un armadio in noce (XVIII sec.). La mensa dell’altare maggiore è costituita dal riassemblaggio dell’antico pulpito poligonale in legno di noce intagliato (inizio XVI sec.).

Intorno alla chiesa si sviluppava il cimitero di Introbio, del quale rimane solo, in cima alla salitella di piazza Carrobbio, la cappella di pietà o ossario a pianta quadrata risalente al XVIII sec. con tetto in coppi sormontato da una croce in ferro a quattro “punti cardinali” con punte gigliate. Sotto il cornicione corre una fascia in stucco con foglia d’acanto agli angoli ed in mezzo un cartiglio non più leggibile. A ovest c’è una piccola porta d’ingresso e sugli altri tre lati si aprono tre grandi finestre non solo per promuovere devozione e pietà cristiana verso i defunti e proporre un immediato memento mori, ma anche per garantire un salutare ricambio d’aria. Degne di ammirazione per l’elegante disegno sono le inferriate barocche del Settecento con motivi a foglia, riccioli, girali, teschi e ossa incrociate. All’interno, al centro sul pavimento, è l’apertura del vano sottostante chiusa da una lastra marmorea, sormontata da una moderna croce in granito. Nel 1863 fu deliberato di spostare le ossa dall’ossario al cimitero, nel 1884 furono tolti i teschi dalla vista dei passanti e nel 1927 la cappelletta venne restaurata.